La storia infinita di Wolfgang Petersen a distanza di oltre 35 anni dalla sua uscita nelle sale cinematografiche ha maturato, con il trascorrere del tempo, un suo proprio status di pellicola cult degli anni 80. Il mondo di Fàntasia ha fatto da cornice a molti sogni dei bambini dell’epoca e a distanza di anni continua ad entusiasmare i più piccoli, non solo per l’eleganza della narrazione o per l’indimenticabile colonna sonora del britannico Limahl (recentemente adottata anche nella fortunata serie targata Netflix “Stranger Things”) ma anche per il mondo magico ed onirico che mantiene inalterato il suo fascino nel tempo e nelle generazioni.

La storia si incentra sulle vicende Atreyu che si trova a dover salvare il regno di Fàntasia che va progressivamente svanendo sotto l’incombente avanzata del Nulla.

La potenza metaforica del Nulla è tale e tanta che ognuno, a ragion veduta, è legittimato a scorgerci il significato che più gli si addice (dal senso della vita ai concetti filosofici di fisica e metafisica e chi più ne ha più ne metta).

Prenderò allora anche io in prestito il mondo di Fàntasia per rendere più esplicito un concetto della psicoterapia psicodinamica, ossia quello di depressione. Se analizzato da un’ottica puramente psicoanalitica la depressione non è sovrapponibile ad un mero elenco di sintomi con i quali la medicina la descrive. Possiamo immaginare la persona depressa come un individuo dotato di un mondo interno anch’esso minacciato da un’entità divoratrice come il Nulla cinematografico di Petersen.

Il pensiero comune vede nel depresso una persona più che mai triste, ma anche questa visione risulta essere agli occhi del clinico una analisi riduttiva e larghi tratti inesatta. Con un piccolo sforzo intellettivo, dobbiamo immaginare la persona depressa come un individuo fobico delle emozioni, in particolare della tristezza stessa e proprio per questo motivo impiega tutte le proprie energie inconsce per cercare di tenerla fuori gioco. Tuttavia per ottenere questo risultato, inevitabilmente si hanno ripercussioni tremende sull’organismo. Innanzitutto la persona depressa è fisicamente spenta, sente il suo corpo svuotato, fallato, un involucro guasto del quale non riesce a liberarsi. Si può descrivere spesso come stanco o affaticato. Le sue energie, non solo fisiche, ma anche psicologiche, si sono prosciugate. Non vive il piacere né l’autentica tristezza, è consapevole solo di non essere in grado di provare alcunché di emotivo, poiché il Nulla se lo sta inesorabilmente fagocitando.

Il proprio mondo emotivo è disintegrato, non gli rimane niente con cui stare in contatto se non ricordi o rimpianti. E per questo, in molti casi, sposta la sua attenzione verso l’esterno, verso gli altri che lo circondano. E per lui ciò non è altro che ulteriore fonte di dolore, perché percepisce la differenza che intercorre tra se stesso e la cerchia di affetti che gli che orbitano attorno. Perciò inizierà a percepirsi diverso e a ruminare sul fatto che è privo di un qualcosa che lo faccia stare bene e che vede negli altri. Per tale motivo, non è raro che taluni individui intimamente depressi sviluppino sentimenti di rancore od invidia, che altro non è che il dolore mentale più acuto che l’uomo possa provare (Roccato, 1998).

Il giovane Atreyu, in una delle scene più iconiche di Neverending Story domanda a Gmork, antagonista del racconto con le terribili sembianze di un lupo nero, che cosa sia il Nulla. Il lupo risponde al bambino rivelando come il Nulla non sia altro che il vuoto che ci circonda, la disperazione che distrugge il mondo.

Questa semplice, ma potente definizione del Nulla possiamo tranquillamente adottarla per descrivere la depressione, ossia un male che avvolge col proprio vuoto, una disperazione che distrugge il mondo interno di chi ne è purtroppo colpito.

 


FONTI

Roccato P. (1998), Invidia e assetto mentale dell’invidioso: un nuovo modello, atti del seminario di neuropsichiatria e psicoterapia 1998-1999, a cura di, Pisani R.A., Ambulatorio di Malattie Psicosomatiche, Università degli Studi di Roma La Sapienza, Dipartimento di Scienze Neurologiche.

Marco Masi

Marco Masi

Sono Marco Masi. Mi sono laureato in Psicologia Clinica all’Alma Mater Studiorum Università di Bologna presso la Facoltà di Psicologia della sede di Cesena (FC). Come PSICOLOGO CLINICO e PSICOTERAPEUTA mi rivolgo alla prevenzione delle situazioni di disagio e alla promozione del benessere psicologico e sociale, in particolare all’identificazione e al trattamento delle problematiche affettive, relazionali e comportamentali che si presentano in situazioni di disagio emotivo.

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